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Blood Is Beautiful: “Xiu Xiu Live”

8 Apr

(Jamie Stewart e il sottoscritto)

Milano, 3 Aprile 2012. Salumeria Della Musica

Pre-Concerto

Ore 16, o giù di lì.

Arrivo troppo presto. I cancelli si dovrebbero aprire alle nove, come recitato da un cartello affisso al muro di questo locale immerso nella periferia più triste, ma sono spalancati. Entro con le mie cinque ore e mezzo d’anticipo, ignaro di tutto.

C’è un uomo seduto sulla sedia che attende qualcosa. Sta fumando la sigaretta e lo scambio per il proprietario del posto. Gli chiedo “Posso restare?”

Altri non è che un giornalista. Sta aspettando il suo turno. Sì, perchè Jamie Stewart, il carismatico leader degli Xiu Xiu, è proprio lì, a due passi da me e parla delle sue impressioni su musica, politica, sesso, amore e letteratura. Ride fragorosamente, è a suo agio: molto diverso da come me lo immaginavo. Molto diverso da quell’icona alternativa/queer di durezza e provocazione. Così diverso da quell’emblema di depressione e dolore, di autolesionismo e rabbia.

Ma se c’è una cosa che funziona negli Xiu Xiu, è proprio questo: il continuo equilibrio tra la provocazione e la dolcezza, tra la rabbia senza limiti e l’infanzia. Chi è , infatti, Jamie Stewart se un bambino nel corpo di un quarantenne?

Un musicista con alle spalle più di quindici anni di album, che mai si è vantato della sua popolarità nel circuito indie. Mi avvicino a lui dopo averlo ascoltato e ammirato da lontano.

Facciamo due foto insieme, discutiamo del più e del meno e, poi, dimostra la sua generosità: prima mi invita alle prove, poi mi regala due dischi (“Blue Water White Death” e “Fabulous Muscles“), una maglietta e una borsa. Mi fa più volte cenno, mi saluta e torna a parlarmi.  Un uomo che si porta il suo merchandising da casa, con la sua valigia portata da Saint José, in California, dove tutt’ora vive.

Partono le prove. Si rimpiange l’assenza di Angela Seo, la grande compagna di merende che, dopo l’addio di Caralee McElroy, andatasene per “motivi personali” dopo l’uscita di “Women As Lovers“, ha accompagnato Jamie nel suo itinerario musicale distruttivo. Perchè Angela manchi? Non si sa. A rimpiazzarla c’è Bettina, una ragazza che non ha nulla della presenza scenica della componente ufficiale: è morta sulle tastiere e pare una statua di cera. Tuttavia la cosa funziona: Jamie è più in forma che mai, la musica raggiunge picchi altissimi e si sentono accenni di quello che avverrà: Joey’s Song” in primis.

Io: “Che canzoni farete stasera?” Jamie: “Che canzoni vorresti ascoltare?” Io: “Ian Curtis Wishlist Jamie: “Nooo! Quella non la facciamo più!” Io: “è la mia preferita!” Jamie: “Potevo immaginarlo!” Io: “Suha, allora” Jamie: “Oh, meno male, quella la si fa!”  

(Tutte le foto che compaiono nell’articolo sono state scattate dal sottoscritto, n.d.r.)

Il Concerto

Apre l’italiana Mushy, che si diapana in una scelta musicale che pare miscelare Zola Jesus e la witch-house. Brava, carismatica e potente, la sua breve performance dà il via allo spettacolo per cui tutti i presenti si trovavano sotto il palco: gli Xiu Xiu.

Sale con i suoi tre elementi, Jamie Stewart, allegro e spensierato come non mai.  Dopo un fugace rito di purificazione pagano, attacca la prima canzone: è “Fabulous Muscles“,  che rientra tra le sue ballate più intense in assoluto. Resa ancora più magica dal vivo, la canzone è una straordinaria love-pièce, dove l’amore puro si mischia alla morte, al sesso, al sangue. Un testo durissimo che s’accompagna con il dolorosissimo e lento passo di danza, colpendo dritto al cuore. Jamie Stewart chiude gli occhi e si lascia trasportare:

“Non è romanticismo, Non è sesso, é solo una notte stellata”  

Un’apertura commovente che si sradica nella rabbia repressa di “Smear The Queen“, nell’album, l’ultimo “Always“, più controllata e easy-listening, in duetto con Carla Bozulich. Da solo, Jamie si sfoga con rabbia, violenza e passione. Scarica riff elettrici e non lascia scampo, sfociando in una versione elettrica e furiosa di una splendida The Fox And The Rabbit“, uno dei vertici tra le ballad della formazione.

Il concerto rimane su livelli altissimi di musica straordinaria. Jamie si divide tra l’empatia di una “Sad Pony Guerrilla Girl” resa stupefacente e allungata (già su disco era una delle canzoni più belle del decennio scorso, dal vivo è un miracolo) e un’appassionata cover di Ceremony” dei Joy Division.

Jamie canta da solo anche “Honeysuckle“, nell’album in duetto con Angela, e i risultati restano efficaci e sorprendenti, velocizza “Joey’s Song” rendendola quasi punk e poi ferma il tempo con “Suha”, canzone-capolavoro, trascinata dai cori aperti e ubriachi del pubblico, ammaliato da cotanta bellezza.

Ma non finisce qui. Hi, il singolone bomba che tutti aspettavano, dal vivo è bollente.  This Too Shall Pass Away“, bellissimo pezzo sul superamento del dolore, diventa un grido di gioia che squarcia la sofferenza e l’empatia delirante che si stavano facendo troppo sentire.

E poi. Il botto. I Luv The Valley Oh“, il brano più famoso del gruppo, urlato su un riff irresistibile, unisce il pubblico e lo porta a cantare insieme al frontman. Un anthem assicurato, che diventa emozione putrida, viscerale. Musica vera.

Ma è con il bis, una cover dei Suicide (“Frankie Teardrop”) che arriva la bomba: Jamie impazzisce, salta, urla, danza (a modo suo), diventa un animale da palcoscenico  fino allo sfinimento. Uno show spettacolare concentrato in 5 minuti di sospiri e urla, che non ho potuto fare a meno di filmare:

Lo show è finito. Jamie Stewart ringrazia e, con il sorriso stampato sul viso, saluta con la mano. Lui è felice. Io sono ancora scosso.

E ho ancora “Fabulous Muscles”, da lui regalatomi, che gira ininterrottamente nello stereo.

Always.

31 Mar

Salumeria Della Musica, 3 aprile 2012. SI avvicina il concerto degli Xiu Xiu.

Mi aspetto vestiti della comunione sporchi di sangue mestruale, schiaffi sotto il vischio, sogni nel cassetto che fanno esplodere gli armadi, abbracci sporchi di letame e sudore, massacri d’innocenze, collassi emotivi e paganesimo straziante. Mi aspetto di tutto, aspetto tutto. Grazie di esistere, Jamie Stewart.

Otto canzoni per salutare il 19/02/2012.

19 Feb

1. Uffie– First Love

Sanno di fiori di ciliegio appena sbocciati e di risvegli mattutini fracassati dai brillii lontani del sole, questi squarci e luccichii di pura nostalgia eighties. Uffie è  una viziata ragazzetta stonata dei nostri giorni distrutti dall’incomunicabilità, che riesce ancora a cantare del primo amore e a convincerci.

2. Peaches– Mud

Carnale, sbilenco e soffocante orgasmo sporco, spinto dalle ritmiche allucinanti terrose, fatte di sangue, ossa e sospiri. Bomba ad orologeria buttata contro le anime di vetro. E fa muovere il culo.

3. Totally Enormous Extinct Dinosaurs – Tapes Money 

Coloratissima e caleidoscopica visione della morte di un tramonto, dipinto sul viso di un ragazzo che quando gorgheggia pare annoiato dalle luci stroboscopiche che gli corrono tutte intorno. E furie di LSD . E sospiri di innocenza deviata. Biglietto per l’estasi e non ritorno. Circuiti dance. Vorticosi salti nel vuoto e più niente.

4. Active Child – High Priestess (CFCF Remix)

Musica da carillon abbandonato impolverato in soffitta e piccoli minimalismi elettronici di vulcani in erezioni. Una Maria Callas al maschile che gorgheggia. E tanta lava che scorre. Te la vedi davanti. In tutto quel grigio.

5. Youth Lagoon– Afternoon

Perchè quel fischiettio di tastiere e illusioni sonore, quella voce così puerile da disperdersi nel quasi-rumore/quasi-soffuso e quel gentile battito di batteria sono troppo belle per poter finire così presto. Causa dipendenza.

6. How To Dress Well – Ready For The World

Pare un vinile impolverato di musiche voodoo e mette ansia, però, poi ti accorgi che potrebbe anche essere una canzone d’amore e ti scioglie. Poi scopri che potresti anche ballarci sopra, molto lentamente e con tanto fumo di sigaretta tutt’intorno, e allora non ci capisci più un cazzo. Ma ti piace, eccome se ti piace.

7. Balam Acab – Apart

Ti perdi nel crepuscolo e non sai dove sei. Arriva una voce infantile e ti fa vedere la luce. No, è solo un’illusione. E torni a perderti, così va a finire che la riascolti per ritrovare il sentiero di casa e non ce la fai.

8. Uochi Toki– Gettandomi In Ambigue Immedesimazioni Richieste, Ma Non Richieste

Ovvero l’apice orgasmico della poesia sonora, della narrativa musicale e della magia che ci spinge a seguire il vorticoso e crepuscolare amplesso di violoncelli ed elettronica. è come se papà ti raccontasse la storia della buonanotte, una storia carinissima ma che finisce in tragedia. E finisce l’infanzia.

Xiu Xiu: Retrospettiva. “All That You Left, You Left For Someone”

25 Gen

Gli Xiu Xiu, ovvero arte del rumore e dell’emozione da tipo undici anni. Capitanati da uno straordinario Jamie Stewart e con il secondo incomodo variabile (ora la formazione sembra fissa con la coreana Angela Seo), gli Xiu Xiu hanno saputo proporre una formula musicale decisamente atipica, originale e devastante, riuscendo a reinventarsi album dopo album. Il nome del gruppo ha una valenza duplice: viene dal film cinese “Xiu Xiu- The Sent Down Girl” (1998) di Joan Chen, ma si riferisce anche al “detto” che le madri cinesi dicono ai loro bambini quando si feriscono, traducibile con “Ahi! Ahi!”. Questo conferma la duplice ossessione di Jamie Stewart, cantautore sensibile e fuori dagli schemi: la rivoluzione e l’infanzia, con una particolare attenzione al tema delicato dell’abuso sessuale e del trauma psicologico.

Knife Play (2001)

Esordio fulminante e stravolgente. Un disco che esplode in ogni sua traccia, eliminando i momenti morti e puntando sempre sulle emozioni. Rabbia, malessere, disagio, euforia scorrono con tensione, canzone dopo canzone, giocando sulle dissonanze e su ritornelli obliqui, sghembi, scomposti. è un disco indimenticabile, tra la splendida “Suha“, apice del disco, il collasso nervoso di “Homonculus“, la lunga coda musicale di “Poe Poe“, ma soprattutto l’incantesimo di “Hives Hives“, dolorosissima ballad urlata sull’AIDS. è uno di quei dischi che rimane dentro, marchiando la carne con il fuoco, leccando le ferite per poi dilaniarle con il sale.
DA NON PERDERE: Suha, I Broke Up, Homonculus, Hives Hives

A Promise (2003)
Altro disco, altro capolavoro, “A promise” si discosta dal precedente, pur riprendendone le basi, scarnificando sempre più la forma canzone verso infernali discese sonore ed esplosioni di emotività deviata. C’è una cruda ballad in apertura, “Sad Pony Guerrilla Girl“, che prende il cuore e lo divora a morsi, c’è una canzone rivoluzionaria e stravolta come “Apistat Commander” e c’è un collasso rock disturbato come “Blacks“, urlo delirante sul terrore e l’accettazione della morte, con quel riff di chitarre tremendamente orecchiabile e trascinante. Ma soprattutto, c’è “Ian Curtis Wishlist“, vero e proprio testamento del gruppo, dissonante, splendido, sepolcrale, con quell’urlo gettato nelle tenebre: “DO YOU LOVE ME, JAMIE STEWART?”. Imperdibile.

DA NON PERDERE: Ian Curtis Wishlist, Apistat Commander, Sad Pony Guerrilla GIrl, Pink City, Blacks

Fabulous Muscles (2004)


E tre. Miracolo dell’esasperazione musicale in ogni suo fascino malinconico e arrabbiato, è un disco che trova il suo cuore nel massacro dell’innocenza della title-track, forse la canzone con il testo più disturbante di sempre, ma che contiene una vena poetica destinata a commuovere. Scavare sotto la merda della società per cogliere le rose. Ma tutto il disco è l’ennesimo miracolo: le vertigini di “I Luv The Valley Oh”, il pezzo più famoso del gruppo, l’opening struggente di “Crank Heart” , la sessualità inconscia di una bomba come “Brian The Vampire”, la dichiarazione di amore e di sesso di “bunny Gamer”…Grande disco.
DA NON PERDERE: I Luv THe Valley Oh, Crank Heart, Bunny Gamer, Fabulous Muscles, Brian The Vampire

Fag Patrol (2004)
Al furto delle attrezzature elettroniche subito durante il tour mondiale, Jamie Stewart reagisce con un album completamente acustico: rabbioso, devastante, ma molto, molto fragile, in grado di pugnalare lentamente il cuore. Apice del disco, la straniante “Jennifer Lopez”.
DA NON PERDERE: Jennifer Lopez


La Foret (2005)
Il loro disco di più difficile ascolto. Complessa esaltazione dell’urlo, del dolore, del rumore. è un viaggio apocalittico di non facile comprensione, ma quando ci si immerge, è l’apocalisse. La canzone sbilenca anti-pop non manca, “Muppet Face”, ma è l’urlo agghiacciante di “Saturn” ad essere veramente toccante.
DA NON PERDERE: Bog People, Muppet Face, Saturn, Mousey Toy, Ale


The Air Force (2006)
Dopo la sperimentazione totale di “La Foret”, una svolta inaspettata verso la forma canzone. Non si tratta di pop: i vertici rabbiosi e sperimentali tipici del frontman si sentono ancora, ma l’atteggiamento è più controllato e ascoltabile anche da orecchie meno esperte. Nel marasma trascinante di un capolavoro come “Bishop, CA” o nelle disturbanti ellissi di archi del singolo “Boy Soprano“, non mancano una ballad efficace e straordinaria come “The Fox And The Rabbit” e un orecchiabilissimo pezzo pop come “Save Me” . Splendido
DA NON PERDERE: Boy Soprano, Bishop CA, Vulture Piano, Save Me, The Fox And The Rabbit, Buzz Saw

Women As Lovers (2008)
Si apre inaspettatamente calmo “Women As Lovers”, con un pezzo meraviglioso come “I Do What I Want When I Want”, scelta come primo singolo, cauta e lenta preghiera di carne e muscoli, prima che si aprano i cori allegri di una voce femminile e gli schizzi di sax. Ma è solo l’inizio. C’è veramente di tutto qui, e l’ispirazione è altissima: da una cover di “Under Pressure” dei Queen, che prima segue l’originale perfettamente e poi la distrugge, alla marcia elettronica di “Child At Arms“, passando per l’anthem rock “White Nerd” , il noise di “In Lust You Can Hear The Axe Fall” e la filastrocca rumorosa di “You Are Pregnant, You Are Dead“.
DA NON PERDERE: FTW, I Do What I Want When I Want, You Are Pregnant You Are Dead


Dear God, I Hate Myself (2010)
Disco perfetto in ogni sua forma. Un ritorno che spezza le aspettative eclettiche di “Women As Lovers”, per mettere sullo stesso piano la forma canzone di “The Air Force” e le dissonanze soniche dei primi lavori. C’è un ritornello che ti si appiccica in testa (“Gray Death”), canzoni devastanti che si possono cantare sotto la doccia (la title-track), i sommessi psicodrammi (“Hyunhye’s Theme”) e persino una canzone d’amicizia ,che incita alla cancellazione del dolore (“This Too Shall Pass Away“). Ma la perla di questo lavoro è il capolavoro assoluto “Impossible Feeling”, dolorosissimo passo di valzer su violoncello e rumorismi, che culla al sonno, ma ti porta incubi
DA NON PERDERE: Impossible Feeling, Chocolate Makes You Happy, The Fabrizio Palumbo Retailation, Gray Death, Hyunhye’s Theme, This Too Shall Pass Away, Apple For A Brain, Dear God I Hate Myself


Always (2012)
Un ritorno con i fiocchi che, seppur esente da canzoni rivoluzionarie come “Apistat Commander”, impressiona nel suo continuo evolvere, che recupera l’eccletismo di “Women As Lovers”, contestualizzandolo maggiormente. C’è un singolo-bomba come “Hi”, potentissimo anthem dal testo splendido, un duetto graffiante come “Smear The Queen“, la rabbia repressa e sessuale di “Factory Girl” e ” I Luv Abortion“, per poi sconvolgerti con il pop obliquo ci “Chimney’s Afire” e “Joey’s Song” e con ballad che, quasi, strappano lacrime (“The Oldness“, “Honeysuckle“). In chiusura, l’ennesimo pezzo più sperimentale e struggente: “Black Drum Machine”
DA NON PERDERE: Hi, Chimney’s Afire, Joey’s Song, Beauty Towne, Black Drum Machine

Album della settimana #2

15 Gen

Sin Fang Bous – Clangour
Psychedelic Folk

Folk sotto LSD, cori disincantati, squarci di tramonti infuocati e glitch. Mi piace.

Thank You – Terrible Two

Art-rock 

Potentissimo marasma verso gli inferi. E non ritorno.

Zola Jesus – Conatus
Art- Pop

Trasognata ed estatica.

Carla Bozulich – Evangelista

Low-Fi/Cantautorato Obliquo

Sepolcrale osservatrice di un universo sporco.

elevate.

25 Nov

Chiudete gli occhi.
Viaggiate.
Trance like.

I dischi della settimana.

25 Nov

Nat Baldwin  – People Changes

Dirty Projectors– Bitte Orca

Neon Indian– Era Extrana

E nello stereo da tipo tre mesi…

Bjork– Biophilia

L’ennesimo capolavoro della musa.