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Riflessione sulla simbiosi tra regista e opera.

23 Gen

Mai mostrare qualcosa di incompiuto, o potresti modificarne il giudizio finale degli altri. è una regola non scritta di ogni artista, pseudo-artista o di chiunque crea qualcosa nella sua vita. Io non la rispetto mai ed è uno dei miei più grandi difetti.
Il fatto è che mi sento come un padre che vuole gridare al mondo che sua moglie è incinta, anche se sa che la donna potrebbe abortire. è lo stesso procedimento che ti porta ad amare anche la più grossa schifezza uscita dalle tue mani, il film, la foto o il quadro che neanche un bambino di due anni avrebbe fatto. E gli dai un titolo, perchè è come chiamare un figlio, un figlio buzzurro e maleducato, oppure soddisfacente e ad immagine e somiglianza di ciò che è il figlio modello.

é qui che però nascono le controversie. Una mia sceneggiatura (che forse mai tradurrò in immagini, perchè nella mia testa è proprio come vorrei) per un lungometraggio chiamato “Patriotism”, su quattro storie incrociate di persone distrutte dalla crisi economica che si lasciano andare nelle proprie ossessioni e nell’autodistruzione, è finita sotto gli occhi sbagliati al momento sbagliato.
“Tu mi fai paura” è ciò che mi è stato detto.

é stato in questo momento che è partita una mia riflessione sul compito del regista (ma che vale anche per lo scrittore, ma anche con il pittore, il musicista e tutti i campi artistici) nei confronti del suo pubblico.
Perchè un regista che realizza un film sulle perversioni viene catalogato come perverso? Perchè, al contrario, un regista di film per bambini diventa una persona sensibile e un buon padre di famiglia?
Perchè un regista diventa automaticamente il film che crea. E se il film è efficace, se raggiunge il suo obiettivo di colpire, tutto ciò che c’è attorno all’opera si materializza in un essere umano. è per questo che un capolavoro Pasoliniano come “Salò” sia reputato da molti uno schifo per via dei suoi temi piuttosto forti.

Il vero regista è quello che, film dopo film, cambia indole, sesso, sessualità, età, anima e corpo. Il cinema è un esempio di body art astratta. Lavora sul corpo del creatore, come su quello del fruitore, che crede in tutto ciò che vede. Perchè un regista che può essere il migliore e più puro uomo del mondo, se facesse un film pornografico, verrebbe catalogato come “pervertito”. Questo conferma come tutto ciò che il cinema ci propone, che pur è pura finzione, venga completamente accettato da chi vede.
Ed è compito del regista essere interessante ed essere se stesso, staccarsi carne, muscoli e ossa e trasformarli in cellulosa.

Ci sono registi capaci di rendere interessante e avvincente un silenzio tra due persone sedute in un bar (Apichatpong Weerasethakul, Pen -Ek Ratanaruang, Tsai Ming-Liang, Aleksandr Sokurov), rendendola coinvolgente come la più spettacolare scena d’azione, come al contrario, ci sono registi che rendono barbosissimo un film di un mostro che attacca una città. L’importante è diventare l’opera, che può essere orrida quanto vuoi. Ma devi accettarla. Perchè è tua. E quando la offri al pubblico, è come quando registri tuo figlio all’anagrafe. Ha i tuoi stessi occhi, anche quando si infila troppo spesso le dita nel naso.

aperture di chakra inaspettate e un po’ vili.

20 Gen

Se esistessero dei negozi che vendano kit istantanei per suicidarsi senza morire, non ci sarebbe più una fila chilometrica per entrare da Abercrombie & Fitch e Hollister, o per farsi autografare l’ultimo bacio perugina di Fabio Volo.

Polvere e cenere  sui vinili che accompagnarono il mio concepimento.

Nel ventunesimo secolo, un insulto diverte, un abbraccio terrorizza.

20 Gen

Lugubre. Sterile. Asettico muro di un bagno femminile. Piastrelle bianche come la morte prima di marcire. Eccidio di empatia grondante di rivoli di insulti e urla che cola in quel groviglio tartan che separa una piastrella dall’altra.

Io voglio salvarti. Non importa se al telegiornale la tua vicina di casa dirà che sei sempre stata una persona riservata e cordiale, voglio che tu sia figlio della redenzione.
 Quanto a me, sono una casa con le pareti tinte di nero e un cuore in cantina, che di bruciare non ne vuole sapere.
Il giardino protetto dalla mia cassa toracica è da riempire.
 
Viviamo solo di coincidenze e silenzi accidentali. Apriti, o Sesamo, dacci un segno, disintegraci questa monotonia ascendente. Semina svolte, rompi le nostre righe. Nell’elegiaco silenzio di questa estasi, non cerco disgrazia. Forse arriva, forse no.

.sfogo senza scopo.

20 Gen

Gli schiaffi sotto il vischio. I cazzotti di San Valentino.
I miei abiti bianchi della comunione sporchi di sangue mestruale.

Concretizzatemi in un baratro,
mentre continuate a misurare le vostre proporzioni di successo e ambizione con la circonferenza del vostro cazzo.

L’ignoranza è come la SARS.
Troppo diffusa tutta quella merda.  

la solita leggiadra sinfonia ridotta ad un carnevale orribile.

2 Dic

Immersione in risate isteriche. Abissi assordanti. Vorticosi pianti di nulla. Silenzi distruttivi. Armi nucleari di massa di aperture orali. Strepitii di attimi angoscianti e scrosciare di pause. Volteggiare di inutilità circoncise e ansie pirotecniche. Giravolte di sguardi senza volto, di pupille dilatate senza iride. Terrore e panico al tramonto, uccidono il crepuscolo. Uccidono il crepuscolo. Uccidono il crepuscolo.
Massacro di romanticismo. Battito di palpebra. Distruzione di massa di cantautori “sole, cuore, amoe”. Battito di palpebra. Incendi di poesie. Battito di palpebre. Sangue che pulsa. Battito di palpebre. Graffiti di coppie scoppiate. Occhi chiusi.

I miei occhi, così scuri e poco umani, sembrano pietre da scagliare contro i porci che mi stanno sotto, avvinghiati alle mie caviglie. I suoi sono oceani da solcare. Vorrei gettarmi dentro di lui e nuotarci dentro, naufragare sulla sua anima, senza sentire il bisogno di scriverci sopra HELP, affinchè i suoi lobi possano vedermi e salvarmi. Ho sognato di contrarre la sifilide dagli insetti, da quelle larve lunghe e nere che sono i tuoi capelli. Ho sognato che mi trafiggevi le interiora a suon di “Bastardo!”, colpendo duro al di sopra dell’ombelico. Ho sognato che mi sognavi mentre mi sporgevo, bambino, troppo oltre il balcone. Puoi anche credermi morto, ma voglio he mi pensi. Voglio starti sulla coscienza, appoggiato sulle tue spalle, con i denti sul tuo collo. A fottere i tuoi occhi. A fottere i tuoi occhi. E rivenderli.

Il fumo che le esce dalle labbra socchiuse forma strambe meduse, pronte a conquistare il cielo e farlo a pezzi. Infrangerlo come uno specchio. Sette anni di dolore.

(Da “Masters – Fistfucking Per Violino Solo)

So happy together

27 Nov

L’amore è come il cibo: ha una data di scadenza. Se esistono coppie che durano anni è perchè è come quando una persona mangia ananas scaduti pur di non sprecarli. Poi vomita, ma questo non importa. (Dal mio romanzo “Masters-Fistfucking Per Violino Solo”)

Diventa verde.

25 Nov

Il tuo cuore mi era stato puntato alla tempia. Poteva esplodere da un momento all’altro, l’oscuro petardo che portava prima allo scoppio di un fuoco d’artificio, e poi al braccio rotto. (Da il mio racconto “I Sogni Sono Proiettili”)

Dal mio racconto “I Sogni Sono Proiettili”:

Qualcuno mi spieghi questa mia straordinaria voglia di estraniarmi dai vostri avvenimenti per guardarmi dentro e scoprire che sono più complesso di quanto pensavo. Ci sono attimi in cui le vostre storie sembra debbano appartenere a voi e a nessun altro. E la mia testa rimbomba altrove, tra una nuvola e l’altra. E ti ricordi, Vasumitra? Di quando ci scambiavamo i cuori nei sottopassaggi e in riva al lago, con i sassi che ci facevano male ai piedi nudi? Con l’erba alta che ci pizzicava le cosce e i desideri sussurrati tra i fiori che sbocciano.

E di quando abbiamo fatto la stronzata di scappare insieme e ci hanno beccati alla dogana, con il tuo sorriso che ingannava anche il cielo? E mi gridavi che volevi andartene, che per noi non c’erano limiti, e ci siamo ritrovati a inghiottire saliva nei sottopassaggi. E le sinfonie di passi che trasalgono altrove, come quei canti liturgici del cinquecento.

E ti ricordi che in quarta liceo già lavoravi per pagarti l’accademia? Che i tuoi genitori ti manganellavano per la tua scelta di studiare arte. Con la più grande perizia hai mandato a fanculo il mondo, correndo da me con il cuore gocciolante in mano, a gridarmi che avevi passato l’esame di ammissione e che potevi diventare pittrice. E se anche dipingevi solo quadri altrui o dipinti monocromatici eri felice, perché in tutto quel nero vedevi le mie pupille. Io ci vedevo solo nero, ma ero felice. E ogni volta che piangevi tagliavi le tele, cosìcchè anche le tue creazioni potessero piangere. Che bei tempi, quando le tue vene sussultavano ogni volta che la lingua correva sul palato. E io volevo baciarti gli occhi, perchè splendevano, e dovevo frenarmi perchè hai la fobia del collirio.

Di quando mi chiedevi se il tuo ciclo ti sporcava la gonna o l’anima, che eri preoccupata che tutti notassero che eri umana, di quando temevi che la città ti crollasse sulla fronte o di quando non avevi i soldi per una bibita e te l’ho offerta controvoglia. Mi hai detto che sono tirchio, ma in verità, è perché stavi andando a casa, non per la bibita. Ogni volta che ci lasciavamo temevo di non rivederti. E poi sono arrivati i viaggi, dove ci perdevamo di vista anche quando li facevamo insieme. A cavalcare le onde di Venezia con i traghetti, perché non potevamo permetterci le gondole. A circumnavigare i tuoi occhi ad Amsterdam, tra una boccata d’aria pulita e una di fumo. I tuoi capelli che volavano sempre intorno al tuo viso. E io che cercavo solo un posto dove agganciare la mia ancora, mi ritrovavo sempre a Milano sotto quel bicchiere che sprofonda sulle nostre teste e che circonda la città. Quel bicchiere chiamato cielo. Forse l’avevo trovato.

A Madrid, a Puerta Del Sol, dove ci siamo fermati a mangiare churros e cioccolata calda. Tu con i tuoi piedi scalzi in infradito di plastica con il laccio rotto, non rifiutavi il ribollire sacro della cioccolata con la calura estiva. Dicevi che faceva caldo e che il tamburellare lisergico dei danzatori di strada di distraeva dai tuoi salti cardiaci. E mi chiedevi se con quel caldo, in qualche altra parte del mondo nevicasse. Ti ho risposto “Forse in Antartide”. Ma tu hai abbassato lo sguardo dicendo che non era possibile.

E poi quando mangiavamo ti tartassavo con le mie ansie igieniche, togliendoti un libro o una rivista di mano dicendoti che mi disgustava. Di quando mi raccontavi che mi credevi immortale e che quando facevamo l’amore era un po’ come combattere una guerra tra le lenzuola, con la notte che calava come un drappo scuro e inaspriva di ombre cinesi le nostre pareti, e le ammiravi danzare sontuose ed eleganti.  Ascoltavamo insieme canzoni straniere alle quattro di notte e tu ne storpiavi le parole. Avevano un potenziale lacrimogeno, ma sotto le tue ansie divertite, erano sketch comici.

Poi dovevi studiare, che c’era un esame a divorarti le vene perché non ti bastavano le canne. E dovevi lavorare. E mi preparavi cocktail da dietro il bancone come se fossi un tuo cliente. Ti chiedevo i più strani per innervosirti e mi minacciavi sorridendo che non avevamo preservativi e che il sole stava per esplodere e saremmo morti tutti.

Eppure sono morto solo io.

25 Nov

Scriverti sulla fronte “Torno Subito”, e non tornare mai.

I tuoi occhi che sono saracinesche abbassate.

Benvenuti nei miei inferi allegri e barocchi

25 Nov

Non pensavo a nulla, ma il suo danzare impacciato amoreggiava con i miei più profondi dispiaceri, tramutati improvvisamente in incantesimi possibili anche a coloro che ragionano solo con la scienza. Sentivo qualcosa che mai avrei provato in futuro e che avrei scambiato solo per una fiaba, come “Jack E Il Fagiolo Magico” o “Cenerentola”. Amore. Sentivo il sensibile viaggiare pulsante del sangue nelle sue arterie. Sentivo di essere lui.

E tutto si annullava. I ricordi. Le emozioni. Erano solo fotografie da strappare e da gettare come briciole di pane, per ritrovare solo successivamente il sentiero di casa. Eravamo tutti Hansel o Gretel, o la strega cattiva. Aspettavamo che qualcuno si lasciasse tentare dal marzapane del proprio cuore per farlo a pezzi. L’amore è macabro e ripugnante, quanto disperatamente irresistibile. Appiccavo incendi nella foresta della strega, pur di goderne della dolcezza, con i suoi baci che mi cadevano addossso come rivoli di sangue. Eppure, insieme all’ardore di una purezza infinita, io sentivo anche una rabbia inconscia, non omicida, ma pura, che sembra assente ma c’è ed è pronta a morderti quando volti la testa per andare ad aprire a qualcun altro.

Andarsi a nascondere in una grotta è impossibile. Tutte le ombre di quelle fronde si proiettano sempre su di essa e le lanterne accese di quella casa in fiamme diventano falene suicide. Accade sempre, ogni volta che ci si innamora, ogni volta che si crede di essere felici. La felicità spetta a chi non ha emozioni, quindi assolutamente a nessuno. Soffrire è umano. Non c’è redenzione.

I baci mi scivolavano ora in bocca, come grandine durante un cielo in tempesta, d’estate. Agosto e la furia che si trascina dietro. Gli squarci nel cielo e le nuvole autolesioniste che si tingono di nero. Ogni tocco, ogni battito, ogni barlume diventavano orgasmi inutili e vuoti, eppure in grado di distruggere una città intera. Un mondo. Far saltare in aria questo schifo di pianeta e tutte le sue creature. Con le costellazioni come uniche osservatrici dell’universo.

Solo in quei momenti ti accorgi come l’amore, cosa viscida, certo, possa essere tremendamente vincente. Quando fai scattare l’attimo, tutto esplode e ti senti immortale, terribilmente invincibile.

È un momento che dura poco, ma che se vissuto intensamente può portare alla serenità. Vulcani impazziti in eruzione. Poi cresci e capisci che, in amore, non vince chi fugge, ma chi scopa.

Ma che bello rituffarsi in certi abissi oscuri, lasciarsi affascinare da meduse dal colore del carbone e coralli morenti, ma speranzosi. Che bello sapere di essere finalmente vivi, e di avere un senso.

Che bello sognare e dire “Io esisto, cazzo, io sono qui”, mandando a fare in culo le disillusioni che vengono usate per vendetta.

[Dal mio romanzo “Masters- Fistfucking Per Violino Solo”]