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“Pieta” di Kim Ki-Duk

14 Set

“Che cosa sono i soldi?

“L’inizio e la fine di ogni cosa: amore, odio, rabbia, gelosia, vendetta…la morte.”

Kim Ki-Duk dimentica amore, poesia e la delicatezza che tanto lo caratterizzava negli ultimi anni, rifiondando alle radici del suo cinema, quello grezzo, sporco e disperato. E riesce a firmare quello che è, sicuramente, il suo film più cupo di sempre. Persino peggio de “L’Isola”. Perché, sebbene qui non ci sia gente che si infili gli ami in bocca o in altre parti del corpo, c’è qualcosa che nasce dagli inferi, un incubo che scivola sullo schermo. Qualcosa di affascinante e pericoloso.

Il nuovo Kim Ki-Duk è, almeno per me, un grande Kim Ki-Duk, che sebbene non smetta mai di autocitarsi (ma quale autore non lo fa mai?), che riconferma un talento visionario straordinario, quasi alieno, sicuramente metafisico. E da una depressione, ne nasce il suo film più CUPO, DISPERATO, STRANIANTE e, sopratttutto, VIOLENTO.Film che elimina o semplifica il simbolismo (che prima era alla base dell’intera sua opera): è un film che morde, dilania e, alla fine, commuove, lasciandoti in un bagno di lacrime (e sangue). Un film che si apre su una carcassa abbandonata sul pavimento di un bagno, che affonda nella disperazione per portarti alla luce. è la visione pessimistica di un mondo dove anche i rapporti sono stati corrotti dai soldi, dove l’unico sentimento che rimane è la vendetta. Meraviglioso. Dovrei elaborare ancora il blocco mentale per parlarne di più.

MOMENTO ALTAMENTE DISTURBANTE: “Ah, quindi io sono uscito da qui, vero? E allora ci posso rientrare!”

69esima Mostra Del Cinema Di Venezia

12 Set

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Ha vinto il maestro coreano Kim Ki-Duk l’ambitissimo leone d’oro per il suo nuovo film “Pieta“, storia di redenzione che ha come protagonisti un usuraio che risana i debiti tramite amputazioni e altre pratiche poco ortodosse e una donna che si spaccia per (o forse è) sua madre, soffiando il premio al discusso “The Master” di Paul Thomas Anderson, regista (tra gli altri) del celebre “Magnolia“.

Kim Ki-Duk non è nuovo al Festival Di Venezia. Anzi, è stato proprio qui, che ha iniziato a farsi conoscere, dodici anni fa, con lo splendido e controverso “L’Isola“, bollato come film-scandalo della Venezia 2000 e scatenando un discusso svenimento. Ed è stato sempre a Venezia, nel 2004, che ha fatto sospirare il pubblico con il capolavoro “Ferro 3- La Casa Vuota“, che gli è valso il Premio Della Giuria. 

Il regista coreano ha accolto la sua gloria con estremo coinvolgimento, cantando “Arirang”, una canzone tradizionale coreana, con il premio ben saldo in mano. Una vittoria per un uomo appena uscito da una profondissima depressione, che l’ha portato a prendere una breve pausa dal cinema e a realizzare un film personalissimo e bistrattato (ma non per questo deludente), sotto il titolo di “Arirang“.

Ed ecco, ora, una panoramica sulle altre premiazioni:
Spetta al già citato “The Master” il Leone D’Argento, aggiudicando anche, ex-aequo, il premio per la migliore interpretazione maschile ai due attori principali: Philip Seymour Hoffman e Joaquin Phoenix. è Israeliana la migliore attrice del lido: Hadas Yaron, per il criticatissimo film sentimentale “Fill The Void“.

Spetta, invece, al film-scandalo di quest’anno il premio speciale della giuria: il controverso e destabilizzante “Paradise: Faith” dell’austriaco Ulrich Seidl. Secondo tassello di una trilogia sul paradiso, è la storia morbosa della relazione tra una donna devota a Dio e il suo crocifisso.

Nonostante si vociferasse una rinascita per il cinema italiano contemporaneo (a quanto pare confermata dalle ottime critiche per il film “Acciaio“, tratto da un famoso best-seller), sono stati solo due, quest’anno, i premi tutti nostrani: a vincerli il giovane Fabrizio Falco, vincitore del Premio Mastroianni Per Il Migliore Attore Emergente, presente in due film: “è stato il figlio” e “Bella Addormentata” e Daniele Ciprì, vincitore del miglior contributo tecnico per “è stato il figlio”. 

Il francese Olivier Assayas vince il premio per la miglior sceneggiatura, per l’amato film “Aprés Mai“, che ha anche diretto. 

é Turco il vincitore per la migliore opera prima: Ali Aydin con “Mold“.
La sezione Orizzonti, per il cinema sperimentale e indipendente, trova un suo vincitore nel noto regista indipendente cinese Wang Bing, con il suo nuovo “Three Sisters“, uno spaccato sulle zone più rurali e povere della Cina, dove tre sorelline lottano per la sopravvivenza.  Menzione speciale a “Tango Libre“, diretto da Frédéric Fonteyne

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Paradise: Faith

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Fill The Void

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Acciaio

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Pieta

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Three Sisters

 

 

Tre miei corti e il loro senso deviato.

26 Gen

Simbiosi


“Simbiosi” è una riflessione sull’impossibilità della coppia e dell’incomunicabilità tra i sessi. Lui, deluso da un comportamento non specificato di lei, decide di rinchiuderla in un televisione, condannandola all’ergastolo. La televisione è il simbolo della finzione e della bidimensionalità, quindi lei, ormai fasulla, ha perso la sua profondità umana ed è condannata a vivere da oggetto. Afflitto e ossessionato dal pianto di lei che, disperata, vorrebbe essere perdonata, lui decide di trasformarsi in un oggetto per spegnersi e dormire tranquillo. Questo, però, avendo abbandonato la profondità umana, lo porta a reintegrarsi con lei nel televisore.

BIANCO E NERO/COLORE: Il colore è usato per le soggettive degli esseri umani, il bianco e nero per le soggettive degli oggetti, che non hanno la profondità umana.

IL CINESE: Il film è recitato in cinese poichè già nel rapporto di coppia c’è un linguaggio incomprensibile, per gli altri (gli esterni che urlano parole in italiano, nella scena della finestra) diventa persino una lingua completamente diversa.

I GESTI: L’incomunicabilità e l’incomprensione tra i sessi vengono esasperati nel gesto in cui lui guarda lei nella televisione, come se fosse un film. Lei piange mentre fuma, lui non fuma, ma ha una sigaretta accesa, abbandonata nel posacenere. Fa, cioè, l’esatto contrario di ciò che fa lei. Quando l’incomprensione raggiunge il culmine, non si può che spegnere il televisore.

IL TELEVISORE: Simbolo della finzione, del dolore e dei problemi della coppia.

LA LUCE: I momenti di gioia, i ricordi felici e l’amore della coppia.

LA FINESTRA: I momenti di stasi della coppia, tra la gioia e il dolore e il rapporto della coppia con il mondo esterno.

LA STANZA: nel film, la stanza che c’è, ma non si vede è la loro storia d’amore. Niente di concreto o fisico: la loro love story è il tema principale del film, ma, inquadrati in due diverse prospettive, non vengono MAI mostrati insieme.

LO SFALSAMENTO DEL FORMATO: Il Film è girato in 4:3. Quando il formato cambia e diventa 16:9 si esaspera lo schiacciamento emotivo della rottura di una storia d’amore.

White WIllow, White Whore


Una ragazza viene pagata per piangere ai funerali. Intervistata per il suo successo, si rende conto di essere una prostituta, poichè incapace di piangere al funerale di sua sorella morta: non è stata pagata. Quando, finalmente, la protagonista scopre qualcosa su se stessa, raggiunge l’orgasmo. Ma è un orgasmo amaro, che si conclude con le lacrime per il funerale della sua stessa anima.

IL LUTTO COME ECCITANTE SESSUALE: L’essere umano, per sua natura, si eccita di fronte alla sofferenza altrui, quando non gli riguarda. Il piangere ai funerali di sconosciuti può sembrare un gesto di gratitudine nei confronti di quegli emarginati che non hanno nessuno che possa salutarli nel momento della dipartita, diventa un perverso metodo di prostituzione: la donna viene pagata per offrire una prestazione sessuale senza amplesso.

IL MOVIMENTO DI MACCHINA: DUrante l’intervista, la cinepresa compie lo stesso identico movimento che si interrompe sempre nello stesso punto: sembra formare un cerchio attorno ai due personaggi che si interrompe sempre, perchè la protagonista ha una visione limitata delle cose, basandosi solo sul lavoro e sull’espressione del proprio corpo.

IL VISO: Il viso è una trappola e non viene mai mostrato. Il film si basa sul binomio essere/apparire, con la recitazione che mai esprime i veri sentimenti dell’essere umano. Per questo motivo la sorella della donna si suicida, sparandosi alla testa e, quindi, tumefacendo il suo volto: non voleva che gli altri vedessero la sua espressione di dolore. Il dolore è personale, non universale.

IL GIORNALISTA: Il giornalista è distaccato perchè è una seconda puttana. Distaccato dal mondo esterno e dal suo dolore, pensa solo al suo lavoro. Impacciato, timido, eppure tremendamente meccanico

LO SCHIUDERSI DEL FIORE: Il fiore, dalla chiara forma vaginale, che si schiude è il simbolo dell’orgasmo femminile.

LA NUDITA’: La ragazza, prima vestita e poi nuda, esprime la sua apertura, il mettere a nudo, per una volta, le sue emozioni e il legame con la sessualità che viene espressa.

Rigor Mortis


Un uomo, a cui è morta sua sorella, finisce al capolinea dopo essersi addormentato sul treno. Incontra il suo ex, un feticista dei piedi che si è innamorato follemente di un monco. Quando il protagonista capisce che l’attaccamento a cose superficiali, è inutile, immagina che la sorella gli stia leccando il piede, scatenando in lui un deviato orgasmo, che collega il mondo dei morti e del ricordo (il bianco e nero) e la vita (il colore).

LA SOTTOMISSIONE: è un film sulla sottomissione. Lui è sottomesso alla vita, il feticista al sesso, la suicida alla morte e la migliore amica della suicida al ricordo ossessivo del passato.

FETICISMO DEI PIEDI E SADOMASOCHISMO: Il mezzo attraverso il quale si annienta l’identità, sull’orlo della morte dell’anima.

IL PIEDE CALZO E IL PIEDE SCALZO: Ovvero, la vita e la morte. Lo stare in mezzo quando si trova l’equilibrio con l’esistenza.

LO SFALSAMENTO DEL FORMATO: Il film è girato in 16:9, ma diventa in 4:3 quando c’è il momento di passaggio dalla mediocrità della vita all’illuminazione sul senso della vita

L’ENTRATA A SINISTRA: Il protagonista e il feticista dei piedi arrivano dallo stesso punto, in stazione, perchè vengono entrambi dallo stesso treno, ovvero la storia d’amore che giunge al capolinea, la morte del loro rapporto.

BIANCO E NERO: La volontà di eliminare l’illuminazione su ciò che sta intorno.

COLORE: La scoperta di ciò che sta fuori la mediocrità dell’esistenza superficiale.

IL TERRORE DEL SILENZIO: Per eliminare il peso della morte, sono stati eliminati tutti i momenti di pausa e sospensione, lasciando spazio al dialogo, spesso inutile e banale, per il terrore del vuoto, riempendolo con superficialità.

IL MONCO: è l’emblema della scoperta dell’amore vero.

requiem.

4 Dic

La tua auto è fredda, gelida, anche con il riscaldamento acceso. E il tuo sospiro sempre troppo vicino che mi infastidisce. Io che a te regalerei campi di girasoli e spiagge deserte, finisco immediatamente con il riconciliare le mie divagazioni post-romantiche ad una nascente malinconia, che mi strugge. Che ti strugge.

Ucciderò quest’eclissi che, ogni volta che siamo troppo vicini, ci oscura l’anima.
Tu che mi uccidi con freddezza. Le tue parole bombe a mano. E io che scivolo fuori dalla tua macchina, raccogliendo la mia ombra come il filo di Arianna.

Mi torturi di lacrime, senza pensarci su. Che il tuo abbraccio d’addio è un filo spinato per separare i nostri confini. E io, senza visto, ti vedo andartene lontano. La mia economia in crollo e il mio porto vuoto, la mia anima che è una nazione in rovina. Mi chiameranno per depennarmi dal G8. Mi chiameranno per chiudermi in ergastolo sulla tua lingua, per piangerti addosso e tessere pallini impazziti sul tuo televisore rotto. Lo lanciasti dalla finestra.

Come  le superstizioni che, da bambini, ci imprigionavano nelle piastrelle, perchè non volevamo mai toccare le linee di separazione, tornano a farsi risentire.
La mia chiave che gira nella serratura. Cancellati, cristo sott’acido.

Cancellati. Disintegrati.
Tra i miei fili di perle che mi scorrono addosso, le palpebre che si chiudono a ritmo e lo scrosciare infausto di ombre sotto la luce notturna. Io che vorrei dirti quanto ti voglio bene, ma che non possiedo un passaporto per entrare nella tua anima. E riduco questo sfogo scritto in un delirante muro dei pianti. Ci fotograferanno mentre strappiamo i nostri volti. E le fototessere seminate come briciole per ritrovare la strada di casa.
Così lontani. Così vicini.

Perdonami. Perdonami ancora.

I miei divieti di sosta e di fermata nella tua testa.

i just wanna punch god in the face.

2 Dic
25 Nov

Scriverti sulla fronte “Torno Subito”, e non tornare mai.

I tuoi occhi che sono saracinesche abbassate.

Benvenuti nei miei inferi allegri e barocchi

25 Nov

Non pensavo a nulla, ma il suo danzare impacciato amoreggiava con i miei più profondi dispiaceri, tramutati improvvisamente in incantesimi possibili anche a coloro che ragionano solo con la scienza. Sentivo qualcosa che mai avrei provato in futuro e che avrei scambiato solo per una fiaba, come “Jack E Il Fagiolo Magico” o “Cenerentola”. Amore. Sentivo il sensibile viaggiare pulsante del sangue nelle sue arterie. Sentivo di essere lui.

E tutto si annullava. I ricordi. Le emozioni. Erano solo fotografie da strappare e da gettare come briciole di pane, per ritrovare solo successivamente il sentiero di casa. Eravamo tutti Hansel o Gretel, o la strega cattiva. Aspettavamo che qualcuno si lasciasse tentare dal marzapane del proprio cuore per farlo a pezzi. L’amore è macabro e ripugnante, quanto disperatamente irresistibile. Appiccavo incendi nella foresta della strega, pur di goderne della dolcezza, con i suoi baci che mi cadevano addossso come rivoli di sangue. Eppure, insieme all’ardore di una purezza infinita, io sentivo anche una rabbia inconscia, non omicida, ma pura, che sembra assente ma c’è ed è pronta a morderti quando volti la testa per andare ad aprire a qualcun altro.

Andarsi a nascondere in una grotta è impossibile. Tutte le ombre di quelle fronde si proiettano sempre su di essa e le lanterne accese di quella casa in fiamme diventano falene suicide. Accade sempre, ogni volta che ci si innamora, ogni volta che si crede di essere felici. La felicità spetta a chi non ha emozioni, quindi assolutamente a nessuno. Soffrire è umano. Non c’è redenzione.

I baci mi scivolavano ora in bocca, come grandine durante un cielo in tempesta, d’estate. Agosto e la furia che si trascina dietro. Gli squarci nel cielo e le nuvole autolesioniste che si tingono di nero. Ogni tocco, ogni battito, ogni barlume diventavano orgasmi inutili e vuoti, eppure in grado di distruggere una città intera. Un mondo. Far saltare in aria questo schifo di pianeta e tutte le sue creature. Con le costellazioni come uniche osservatrici dell’universo.

Solo in quei momenti ti accorgi come l’amore, cosa viscida, certo, possa essere tremendamente vincente. Quando fai scattare l’attimo, tutto esplode e ti senti immortale, terribilmente invincibile.

È un momento che dura poco, ma che se vissuto intensamente può portare alla serenità. Vulcani impazziti in eruzione. Poi cresci e capisci che, in amore, non vince chi fugge, ma chi scopa.

Ma che bello rituffarsi in certi abissi oscuri, lasciarsi affascinare da meduse dal colore del carbone e coralli morenti, ma speranzosi. Che bello sapere di essere finalmente vivi, e di avere un senso.

Che bello sognare e dire “Io esisto, cazzo, io sono qui”, mandando a fare in culo le disillusioni che vengono usate per vendetta.

[Dal mio romanzo “Masters- Fistfucking Per Violino Solo”]